Per il dopo Quota 100 servono forme di flessibilita' previdenziale realistiche e compatibili con le esigenze dei conti pubblici a partire dagli strumenti gia' esistenti per le attivita' gravose. A pochi giorni dall'avvio ufficiale del tavolo sulle pensioni, e' questa la ricetta suggerita dal presidente dell'Inps Pasquale Tridico in un'intervista al Messaggero.
"La nostra e' la prima analisi di quota 100, dopo due anni e mezzo di applicazione. L'anticipo e' stato usato soprattutto da lavoratori maschi, nel settore pubblico e con redditi medio alti. E non sembra che abbia prodotto l'auspicato ricambio generazionale. Per il dopo non partiamo da zero. Esistono gia' nel sistema varie forme di anticipo, sulle quali bisognerebbe concentrarsi. I sindacati dicono di volere la flessibilita' e propongono Quota 41 ma questa in realta' e' una forma di rigidita', come del resto lo era Quota 100. Se si stabilisce una quota senza differenziare rispetto a lavori concreti e carriere viene fuori una misura iniqua", spiega.
"Quota 41 e' iniqua ad esempio per le donne o i gravosi, oltre ad essere molto costosa per il bilancio dello Stato" e costa "fino a 9 miliardi l'anno, partendo da oltre 4 subito. Abbiamo uno strumento, l'Ape sociale, che andrebbe rafforzato facendo entrare altre categorie degne di protezione, ma sulle base dell'effettiva gravosita' delle singole mansioni. E questo all'interno di un sistema contributivo che ormai e' la regola. Nella visione della flessibilita' io avevo proposto anche un doppio canale, uscita a 63 anni con la quota contributiva mentre la pensione completa scatterebbe ai 67. Un meccanismo del genere porterebbe sostenibilita' per i conti pubblici e flessibilita'; ma se non lo si adotta allora la via e' quella degli interventi chirurgici come appunto l'estensione dell'Ape sociale e delle regole per i lavori usuranti. Anche l'Europa ci chiede di non tornare indietro sulle riforme previdenziali: d'altra parte abbiamo deciso che i nostri figli avranno queste regole e quindi a maggior ragione devono andare bene per noi".
Per i figli, continua il presidente, "si puo' partire dal riscatto gratuito della laurea e dei periodi formativi, per compensare i buchi che ci possono essere nella carriera. E pensare alla pensione di garanzia, che non pone un problema immediato di copertura finanziaria visto che scatterebbe tra trent'anni o piu'. Poi servono interventi per le lavoratrici, che tengano conto dello scenario demografico: quindi sgravi contributivi legati alla maternita', come avviene in Germania".
"Siamo sulla parte alta della V della ripresa, in particolare per quanto riguarda il lavoro". La tendenza positiva dell'occupazione proseguira' anche a luglio e "dai dati che abbiamo sulle entrate contributive ci aspettiamo anche a luglio lo stesso trend positivo registrato a maggio e a giugno. Le entrate contributive sono il vero termometro dell'attivita' economica: le aziende stanno rilanciando, assumono e pagano i contributi. A fine anno, se non succede qualcos'altro, possiamo raggiungere il livello del 2019", annuncia.
Per uscire dalla stagione dei sussidi e "rendere il rilancio duraturo bisogna fornire strumenti aggressivi di politica industriale, fatti di incentivi selettivi, ovvero che cambino le strategie di investimento, di assunzione e di consumo. E poi ovviamente c'e' il Pnrr, che e' importante al di la' della quantita' di risorse perche' sta posizionando il Paese su una frontiera tecnologica piu' avanzata".
Sul reddito di cittadinanza Tridico afferma "se il reddito ha un problema, riguarda i centri per l'impiego e non il reddito stesso.
Bisognerebbe concentrarsi su quelli e sui meccanismi che gia' esistono all'interno dello strumento, come la formazione e l'inclusione sociale, i Puc gestiti dai Comuni che andrebbero rafforzati. Noi oggi abbiamo quasi due milioni di beneficiari di Naspi, che dovrebbero essere il primo bacino in cui un datore di lavoro cerca. Il reddito di cittadinanza invece e' un trattamento minimo, che diamo ai lavoratori che non raggiungono una certa soglia di reddito, ma anche a disabili, pensionati, ragazzi sotto i 18 anni. Per i due terzi sono persone che per definizione non possono lavorare. Per il restante terzo, una parte riceve un'integrazione al reddito di lavoro, altri non risultano nei nostri archivi e quindi non hanno mai lavorato: erano ai margini della societa'. Il valore medio e' di 550 euro al mese per nucleo familiare, che non rappresenta certo uno spiazzamento rispetto al mercato del lavoro", puntualizza. "Ai lavoratori stagionali, con le varie tranches, sono stati dati in tutto 8.600 euro di bonus a condizione di essere disoccupati. Semmai e' stato questo sussidio che puo' aver scoraggiato il lavoro", precisa Tridico.
Infine, "il salario minimo e' uno degli strumenti che manca in Italia, per non aggravare gli squilibri in un Paese in cui c'e' una componente di contrattazione non rappresentativa, che punta al dumping salariale. Un importo tra 8 e 9 euro lordi l'ora, in linea con le indicazioni della commissione europea, includerebbe tra il 15% e il 26% dei lavoratori. Si sposterebbero 4-5 miliardi di euro sul salario aumentando anche il gettito fiscale per lo Stato.
Per le imprese si puo' pensare ad una contropartita: abbiamo alcune aliquote contributive minori, sulla Naspi o sull'assegno al nucleo familiare (destinato tra l'altro ad essere riassorbito in quello universale) che valgono 3-4 miliardi. Potrebbero essere fiscalizzate e la riduzione di costo compenserebbe le imprese. Ai sindacati dico che la contrattazione ha svolto una funzione importante, ma oggi molti lavoratori ne restano fuori, proprio nei settori in cui i salari sono molto bassi. Quindi il salario minimo non e' un'alternativa alla contrattazione, come dimostra il modello tedesco", conclude.