Per quanto riguarda la legge Fornero io sono d’accordo che, gradualmente, vada superata. Il problema non è dire Quota 100: troppo facile. Il punto è come si fa. Partire da 62 anni con un minimo di 38 di contributi fa 100: ma se hai 63 anni fa 101, e via andando. Quota 100, nella proposta del Governo, non c’è più, perché è mediamente Quota 102. Meglio di niente. Detto questo però, se per racimolare risorse si cancellasse, ad esempio, l’Ape sociale (che è Quota 99 per le 15 categorie di lavori gravosi, Quota 93 per i disoccupati e 91 per le disoccupate con due figli), si danneggerebbero i lavoratori manuali e le lavoratrici.
Qual è il problema? È che le risorse non bastano per fare quello che dice il Governo: i conti dell’Inps, forniti alla Commissione lavoro della Camera nella scorsa legislatura parlano chiaro, se non si cambiano adesso le carte in tavola: 6-7 miliardi per la Quota e 6 miliardi per andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Salvini dovrà decidere chi buttare dalla torre perché i soldi non ci sono. Perché insisto nel dire che bisogna superare gradualmente la legge Fornero? Perché la Corte dei Conti ci ha spiegato che il sistema previdenziale non è stato messo al sicuro dalla legge del Governo Monti, ma da un insieme di riforme: Maroni nel 2004, Damiano nel 2007, Berlusconi nel 2010 e, anche, Fornero nel 2011: quest’ultima vale un terzo dei risparmi che verranno totalizzati dal 2004 al 2050, che ammontano alla cifra astronomica di 900 miliardi di euro, pari a 60 punti di Pil”. “Quindi, si può tranquillamente smettere di dire falsità: la legge Fornero, già intaccata dalle leggi volute dal Pd, non è né un totem intoccabile né l’architrave che regge la sostenibilità del sistema previdenziale. Si può superare. Quando si comincerà a fare un dibattito serio e non demagogico- ideologico sul sistema pensionistico? Non è mai troppo tardi”,
Damiano ricorda, inoltre, che 15 categorie di lavoratori gravosi più gli usuranti, hanno già ottenuto il blocco dell’aggancio dell’età della pensione all’aspettativa di vita. Eliminare l’Ape sociale sarebbe, dunque, molto dannoso per una vasta platea di lavoratori. Si tratterebbe, al contrario, di renderla strutturale”. “Se poi questa scelta dovesse cancellare anche l’Ape volontaria, che prevede alcune penalizzazioni, toglieremmo la possibilità di andare in pensione a 63 anni con soli 20 di contributi. È una possibilità che favorisce chi ha svolto lavori discontinui, in particolare le donne – dice Damiano -. Come si vede, le pensioni vanno maneggiate con cura, altrimenti si può peggiorare la situazione. Damiano incalza il nuovo esecutivo anche a realizzare la nona e definitiva salvaguardia per gli esodati; a intervenire sul Jobs Act rendendo strutturali gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato.