Il tavolo di mercoledì sarà forse l'ultima tappa di un percorso lungo e tortuoso, iniziato il 24 maggio scorso, con l'obiettivo di tirare le fila sui temi della previdenza e delle politiche del lavoro. I punti cruciali da chiarire riguardano i lavoratori precoci, le categorie per l’Ape agevolata, l’anticipo di pensione a costo zero, l'importo dell’assegno sotto il quale non scattano le penalizzazioni. Tuttavia è probabile che anche l'incontro di questa settimana non sarà definitivo: per vedere un testo con le misure vere e proprie occorrerà attendere almeno la fine del mese di Ottobre.
Il problema sono, come sempre, le risorse. Da una parte c'è l'ampia platea di lavoratori interessati alla possibilità di andare prima in pensione (da 63 anni d’età, grazie all’Ape) dall'altra c'è la spesa pubblica. Bisognerà trovare un equilibrio. La parte sindacale preme per aumentare i beneficiari, il governo per limitarli. Lo stanziamento per il 2017 per tutto il pacchetto previdenziale (compreso il potenziamento della quattordicesima, le ricongiunzioni gratuite, l’aumento della no tax area) oscilla tra 1,8 e i 2 miliardi. Per i sindacati, invece, sono necessari almeno 2,5 miliardi. Ma è probabile che ci sia spazio per ulteriori correttivi nel corso del prossimo anno, soprattutto per quanto riguarda i giovani nel contributivo puro.
Il governo, nell'ultimo incontro, aveva indicato: 600-700 milioni per l’Ape, l’anticipo pensionistico; 6-800 per estendere la quattordicesima; 250 per estendere la no tax area; 100 per le ricongiunzioni non onerose, e il resto per affrontare il problema dei lavoratori precoci. E forse questo rimane il vero scoglio che resta ora da superare. Secondo le stime dell’Inps sono 3,5 milioni i lavoratori che hanno almeno un anno di contributi versati prima dei 18 anni e che quindi per legge possono essere definiti a tutti gli effetti “precoci”. Ma non tutti oggi hanno già 41 anni di contributi (contro i 42 e 10 mesi necessari per l’uscita anticipata). Secondo il governo i precoci sono invece 80 mila.
Spaccata la posizione dei sindacati: Cisl e Uil hanno un atteggiamento più conciliante soprattutto rispetto all'anticipo pensionistico che viene visto come una parziale soluzione del problema della flessibilità in uscita non troppo distante, nel concreto, dalle proposte elaborate dal Parlamento negli ultimi anni. Contraria la Cgil che seppur attende di conoscere i costi effettivi per i lavoratori in termini di restituzione della rata del prestito pensionistico anticipa: “l'Ape è uno strumento finanziario, non previdenziale. Questo deve essere molto chiaro. In pratica, ha tutte le caratteristiche di un prestito sul quale abbiamo espresso sin da subito una posizione di contrarietà. È vero che durante il confronto si è aperta una discussione su alcune agevolazioni. Ma strutturalmente resta uno strumento che non vede il nostro consenso, è evidente che non siamo nelle condizioni di fare un accordo”. Quanto alle risorse, “Per le categorie svantaggiate, "al momento viene indicato un limite di reddito oltre il quale ci saranno dei costi per il lavoratore. Si ragiona su un limite di 1.500 euro lordi, che vuol dire circa 1.190 netti. Ma così resterebbe fuori una parte consistente del lavoro dipendente e anche di quello manifatturiero”. Significa che chi usufruirà dell'Ape al minimo si ritroverebbe con un assegno intorno agli 800 euro al mese.