“Il ministro del Lavoro e dello sviluppo, Luigi Di Maio, parla di quota 100 e quota 41: il problema è che per funzionare quei numeri devono essere accompagnati da una serie di condizioni che attualmente non ci sono. Al contrario, esiste il paletto dei 64 anni d’età e dei 36 anni di contributi, che di fatto penalizza tantissime persone, perché presuppone il ricalcolo contributivo di tutto il montante e una carriera lavorativa molto costante, introducendo livelli che pochissimi lavoratori possono raggiungere. Penso a disoccupati, cassaintegrati, invalidi, a chi fa lavori gravosi, a chi assiste persone non autosufficienti, tutte categorie che addirittura andranno peggio di prima, perché l’Ape sociale - strumento di cui non siamo particolarmente entusiasti -, comunque garantiva a una certa platea l’uscita a 63 anni”, prosegue il dirigente sindacale.
Penalizzate Donne e precari
“La proposta governativa ha uno sguardo strabico, perché penalizza donne e giovani del Sud, a vantaggio dei maschi del Nord, che hanno una carriera previdenziale costante e requisiti di un certo tipo. Penso che un lavoratore, così come una lavoratrice, dopo 41 anni di contributi debba avere la possibilità, senza altri vincoli, di andare in pensione. Però il sistema contributivo va corretto, tenendo conto di altri elementi, altre esigenze di carattere sociale, come ad esempio chi ha carriere discontinue, che poi sono la maggioranza dei giovani. Costoro devono avere un riconoscimento previdenziale che gli consenta di arrivare a una pensione dignitosa. In tale contesto, anche la specificità del lavoro di cura delle donne va premiata. Ad ogni modo, noi crediamo che il cardine di una riforma previdenziale debba essere la flessibilità in uscita, riprendendo lo spirito della riforma Dini, secondo la quale da una certa età in poi è il lavoratore che, dopo i 62 anni, sceglie come uscire in base alle sue condizioni lavorative, familiari, di salute”, continua l’esponente Cgil.
Cgil: rischiosa la pensione di cittadinanza
“Si parla di reddito e di pensione di cittadinanza per aiutare soprattutto i giovani, determinando un livello di pensione minima un po’ superiore a quella attuale. Ma è una proposta che andrebbe corretta, in quanto vincolata a un meccanismo pericoloso, del tutto slegato dalle storie delle persone, che disincentiva il versamento dei contributi previdenziali per la costruzione del montante pensionistico, a tutto vantaggio di forme patologiche, tipiche di larghe fasce del lavoro autonomo, che oggi possono favorire l’evasione contributiva e forme di lavoro nero.
“Un altro meccanismo da considerare – fra l’altro legato alla speranza di vita – riguarda i coefficienti di calcolo delle pensioni, che consegnerà in futuro assegni previdenziali sempre più poveri, perché si andrà a riposo sempre più tardi e con parametri ancor più penalizzanti di quelli attuali. Chiediamo il consolidamento dei coefficienti di calcolo e la rivalutazione del montante, salvaguardando le singole storie lavorative: se io ho maturato un montante di un certo tipo, tu governo me lo devi confermare e non me lo puoi modificare a seconda delle dinamiche economiche dei prossimi anni. Più in generale, ciò che più colpisce di tutta la discussione sulle pensioni è la mancanza di capacità di guardare oltre la contingenza, come se tutto si dovesse consumare qui e ora.
Puntare a rafforzare gli strumenti esistenti
Nell’agenda di governo mancano proposte di medio-lungo periodo, quando è proprio quello che dovremmo fare, visto che fra trent’anni si avrà a che fare con una ‘bomba sociale’, cioè un futuro di una generazione intera di pensionati poveri, ma a quell’epoca sarà tardi per occuparsene. Oggi è il momento di parlare di queste cose, ripartendo con uno scenario nuovo, valorizzando i pochi passi avanti che si sono fatti, vale a dire il rafforzamento della quattordicesima, l’Ape sociale, il primo intervento sui precoci, la cumulabilità dei contributi, alcuni interventi sulla previdenza integrativa. Su questo, stiamo ragionando con Cisl e Uil, per sfidare il governo a darci risposte concrete, a partire dalla legge di Bilancio, valutando anche di riprendere la mobilitazione diretta”, conclude Ghiselli.