Non si tratta di una novità dato che già in passato i Governi hanno più volte reperito risorse dalle pensioni d'oro con interventi al limite della costituzionalità. Ad esempio lo scorso 31 dicembre 2017 è scaduto il prelievo di solidarietà a carico dei lavoratori e dei pensionati dei fondi speciali introdotto dalla Legge Fornero dal 1° gennaio 2012; il 31 dicembre 2016 è venuto meno il contributo di solidarietà sulle pensioni superiori a 14 volte il trattamento minimo inps introdotto dal Governo Letta con la legge 147/2013 dal 1° gennaio 2014. Si è trattato comunque di misure temporanee che proprio per tale ragione hanno superato il vaglio di costituzionalità.
Altre volte i Governi hanno fatto cassa sugli assegni d'oro riducendo il meccanismo di perequazione delle pensioni riconoscendo cioè una crescita dell'assegno inferiore a quella dell'inflazione. Un meccanismo subdolo ma efficace. Come non ricordare il blocco della rivalutazione degli assegni superiori a sei volte il minimo nel biennio 2012-2013 (re)introdotto dal decreto legge Poletti nell'estate 2015 e avallato lo scorso anno dalla Consulta. Organo che ha pure dato legittimazione all'attuale meccanismo di perequazione degli assegni che, come noto, penalizza sino al 31 dicembre 2018 gli assegni superiori a sei volte il minimo. Fino ad oggi comunque gli interventi sulle pensioni d'oro sono stati soft nel senso che non hanno intaccato in misura eccessiva il potere d'acquisto. E sono stati temporanei.
L'ipotesi del contributivo
Un esecutivo a guida M5S-Lega potrebbe, tuttavia, provare per la prima volta la strada di una ridefinizione in chiave contributiva degli assegni che superino una determinata soglia. Come del resto le due forze politiche si sono promesse di fare con i vitalizi dei parlamentari. Non si tratta di un'ipotesi del tutto peregrina dato che un progetto simile era contenuto nella proposta dell'Inps che Tito Boeri aveva consegnato al Governo Renzi nel 2015 quando si stava trattando sulla flessibilità in uscita poi sfociata nell'APE. Il progetto dell'Inps prevedeva il taglio dei soli assegni determinati con il sistema retributivo superiori ad una determinata soglia (circa 3.500 euro lordi). Un taglio medio di circa il 10-15% della quota retributiva dell'assegno a seconda della data di pensionamento. Le risorse risparmiate con questo sistema avrebbero finanziato la flessibilità in uscita neutralizzando in buona parte i costi aggiuntivi per le casse pubbliche. Naturalmente la proposta fu subito messa nel cassetto prima ancora di poter essere esaminata in quanto politicamente non appetibile dall'elettorato che aveva dato i voti alla maggioranza del governo di allora.
Il cambio degli equilibri politici e di maggioranza potrebbe ora rimetterla in gioco accanto ad altre proposte. Oltre al ricalcolo c'è anche l'ipotesi di una razionalizzazione delle misure di sostegno ai pensionati ultra65enni con un disboscamento delle maggiorazioni sociali. Sostegni a volte poco efficaci che potrebbero essere raccordati o assorbiti in altre misure di sostegno alla povertà (vedi in primis il reddito di inclusione o la stessa quattordicesima). Altra ipotesi in campo per reperire risorse è l'estensione dell'ISEE ad ulteriori prestazioni sociali. Come si intuisce si tratta di temi molto delicati che potrebbero spingere l'esecutivo Lega-M5S a fare marcia indietro. Si vedrà. Il primo appuntamento sarà la pubblicazione del contratto di Governo che le due forze politiche faranno votare ai propri iscritti nei prossimi giorni.