In questo senso giudizi estremamente favorevoli erano stati espressi per il progetto sulla quota 100 presentato dall'Onorevole Damiano lo scorso anno (si veda grafica sottostante), che prevede la possibilità di andare in pensione a partire con un minimo di 62 anni e 35 anni di contributi a condizione che la somma dell'età anagrafica e di quella contributiva non risulti inferiore a 100 (es. 62 anni e 38 di contributi o 63 anni e 37 di contributi sino ad un mix di 65 anni e 35 di contributi) al quale si vorrebbe abbinare un'uscita a 41 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica, per i lavoratori precoci.
Si tratta di una variante ancora più favorevole rispetto al ddl 857, sempre sostenuto da Damiano, che a differenza di quest'ultimo non reca alcuna penalità sull'assegno (il 2% per ogni anno di anticipo sino al 62° anno) con costi di implementazione, quindi, ancora più elevati.
Completamente diverso il piano che presenterà Palazzo Chigi, l'Ape, cioè un prestito pensionistico erogato tramite il coinvolgimento di banche ed assicurazioni a cui si potrà accedere solo dai 63 anni e 7 mesi. La restituzione del prestito comporterà infatti una penalizzazione della pensione normale che potrà variare molto in base al reddito e alla condizione lavorativa. Il piano per la «flessibilità in uscita» al quale sta lavorando Palazzo Chigi sotto la regia del sottosegretario Tommaso Nannicini prevede, è vero, che ci sia la detrazione delle rate di rimborso del prestito, ma le detrazioni sarebbero inversamente proporzionali al reddito.
Secondo le ipotesi allo studio, le penalizzazioni sull'importo della pensione regolare, oscillano da un minimo del 2% per ogni anno di anticipo (quindi massimo 6%) fino al 5-8% annuo per i redditi più alti. In media il taglio sarebbe del 2-4% l'anno. Questa curva si abbasserebbe molto però se il lavoratore fosse un esubero. Qui, infatti, dovrebbe essere lo Stato a farsi carico in tutto o in parte delle penalizzazioni. Nulla inoltre sarebbe previsto per i precoci. Un piano di lavoro che non convince i sindacati ma per come sarà strutturato sarà difficilmente modificabile nella sua cornice generale. Una sorta di prendere o lasciare perchè "di più non si può". In realtà i denari sottratti al comparto previdenza con la Riforma Fornero del 2011 darebbero ampi margini di trattativa se solo maturasse la volontà politica di intervenire. Si vedrà.
"Il sindacato è impegnato a confrontarsi con il Governo per trovare positive soluzioni alla reintroduzione di una flessibilità in uscita intorno ai 62 anni che può essere finanziata rimettendo nel sistema previdenziale una piccolissima parte dell’enorme montagna di risorse prelevata in questi anni con il solo obiettivo di fare cassa" ricorda una nota la Uil. "È incontrovertibile che avere l’età di accesso alla pensione più alta d'Europa ha bloccato il turn over nel mercato del lavoro nel nostro Paese con drammatiche conseguenze per i giovani".